Torino 5 settembre, la lezione di rock degli U2

Gli U2 suonano Invisible da dentro lo schermo

Gli U2 suonano Invisible da dentro lo schermo

Era il 1993 e un’intera generazione sognava di sentirsi cittadina della neonata Unione Europea, la Germania appena riunificata ne era l’emblema e Berlino, con i suoi frammenti di muro, ne era il simbolico centro. Due anni prima gli U2, cogliendo alla perfezione lo Zeitgeist, avevano registrato proprio a Berlino il loro capolavoro Achtung Baby, un album che avrebbe influenzato l’intera scena rock di tutti gli anni ’90 e non solo; un album spiazzante per i fans storici, una rivelazione per noi ragazzini che conoscevamo sì Pride e Sunday Bloody Sunday, New Year’s Day e With Or Without You, ma che all’epoca, fino a quel momento, eravamo presi da altri suoni.

E così quell’anno ero là ai miei primi concerti degli U2 (già perché uno solo mi sembrava poco) e in particolare ricordo il secondo, il 17 luglio al Dall’Ara di Bologna, subito dopo l’orale della maturità. Ad ascoltare quasi tutto Achtung Baby e a rimanere incantato da tutto il resto, dalle meraviglie estratte dai primi album, con il rammarico di ancora non conoscere a sufficienza quei riff coinvolgenti, quegli arpeggi in delay, quelle parole così sentite cantate dalla voce più emozionante che si potesse immaginare.

E poi c’era lo show. I maxischermi, le immagini, le scritte che scorrevano veloci, la televisione, la polemica sulla televisione. Prima Zoo TV e poi Zooropa, un modo allora del tutto innovativo di coniugare musica e spettacolo. Uno sguardo visionario sull’Europa che non avremmo voluto, su una società che stava cambiando e non necessariamente per il meglio.

Due rinnovi della patente dopo, i timori, le paure, i problemi, i temi all’ordine del giorno sono, non  troppo sorprendentemente gli stessi, e allora l’atmosfera che si respira all’Innocence+Experience Tour ricorda dannatamente quella di ventidue anni fa. Certo, sul palco non ci sono più le Trabant, simbolo della fu Germania Est, ma al centro di tutto c’è ancora l’Europa, e al centro dell’Europa c’è ancora la Germania, e al centro della Germania c’è ancora Berlino (e la sua cancelliera).

Attorno a questi temi si dipana una scaletta ricchissima e, a tratti, inattesa, ma anche perfettamente coerente nella sua logica linearità, sospesa tra l’esigenza di offrire il meglio di un repertorio ormai sconfinato e toccare i tanti temi cari a Bono. Il quale, per inciso, non rinunci al suo ruolo di predicatore e di combattente per le sue battaglie civili (una su tutte la fondazione RED che lotta per la ricerca sull’AIDS) ma lo fa con un garbo e una leggerezza, senza interrompere il flusso delle emozioni, che nei tour più recenti sembravano scomparsi.

L’avvio del concerto è sorprendente per chi, come me, ha sapientemente evitato qualsiasi spoiler preventivo, ma non per gran parte del pubblico che inizia già ad agitarsi e a saltare non appena i diffusori del PalaAlpitour sparano le note di People Have The Power a tutto volume: evidentemente sta per accadere qualcosa. E infatti, a luci ancora accese, dal nulla, in mezzo alla folla, si materializza Bono che si sovrappone alla voce di Patti Smith e guida il coro del pubblico. Un coro che ben presto diventa quello, travolgente, trascinante, devastante di The Miracle (of Joey Ramone) che apre finalmente il set con Bono che raggiunge il resto della band sul palco principale.

Del brano si capisce poco, quasi completamente sommerso dall’entusiasmo e dai cori del pubblico, ma è il viatico a un inizio di scaletta di pura energia da far tremare i muri del palazzo: l’ormai antichissima Out Of Control e il nuovo classico Vertigo sono una lunga scarica di adrenalina, mentre l’inconfondibile riff di I Will Follow smuove i piedi anche dei più restii a lasciarsi andare, lassù in tribuna, e porta definitivamente a scuola tutte le attuali band di ragazzini che devono soccombere davanti alla potenza rock di questi arzilli ultracinquantenni.

Tanta Berlino, si diceva, ma anche tanta Dublino, come è inevitabile dal momento che gran parte dei brani di Songs Of Innocence sono ispirati dall’infanzia e dall’adolescenza della band. E I Will Follow, uno dei tanti brani nella discografia degli U2 dedicati alla madre di Bono prematuramente scomparsa, si collega magnificamente all’omaggio più diretto alla fu signora Iris Hewson: è la recente Iris (Hold Me Close) che apre la strada alle canzoni del nuovo album e ai temi più irlandesi del concerto.

Nel frattempo iniziano anche le passeggiate dei membri della band sulla passerella in mezzo alla folla che separa i due palchi. Già, perché portando alle estreme conseguenze la logica già sperimentata cinque anni fa con il 360° Tour, la band riduce al minimo la struttura dei palchi (uno, principale, su uno dei lati corti del palasport e il palco “acustico” dalla parte opposta) offrendo una visione totale dello show al pubblico intero, senza lasciare un solo posto vuoto. E così i quattro ragazzi si concedono ai video, alle foto e agli applausi dei fans appostati lungo la passerella, camminandoci sopra con i loro strumenti senza filo.

Tocca allora a The Edge, con il suo caratteristico incedere marziale e la chitarra a tracolla, presentarsi tra la folla a suonare l’assolo killer dell’ottima Cedarwood Road, che racconta proprio dei difficili anni e delle tensioni sociali dell’epoca, mentre Bono cammina sopra di lui, dentro lo schermo sospeso che proietta animazioni della Dublino che fu. In questo contesto non può mancare il superclassico Sunday Bloody Sunday, eseguito in una splendida versione minimale e semiacustica, e questa volta è il turno di Larry Mullen, tamburi a tracolla, di farsi una passeggiata in mezzo alla gente. A separare due brani politicamente forti, la dolcezza di Song For Someone, il singolo più recente, che riporta agli U2 più tradizionali con arrangiamenti minimali e con la chitarra di The Edge e soprattutto la voce di un Bono particolarmente in forma sugli scudi. Raised By Wolves, il brano più politico e sociale di Songs Of Innocence (praticamente una versione ancora più dura della stessa Sunday Bloody Sunday), chiude invece la parentesi dedicata ai nuovi pezzi (ci sarà solo Every Breaking Wave più tardi) e riporta, come si diceva, l’orologio indietro di 22 anni.

Infatti, ecco Berlino, ecco Wim Wenders, ecco Achtung Baby, ecco la meravigliosa e inattesa Until The End Of The World che scuote un’altra volta l’arena con i suoi riff di chitarra. Poi il lunghissimo maxischermo che sovrasta l’intera passerella inizia a scendere fino a ricoprirla completamente, mentre dalle casse escono le note di un remix drum’n bass di The Fly e sullo schermo scorre una lunga sequenza di parole, proprio come avveniva nello Zoo TV Tour del 1993. E solo quando lo schermo inizia ad aprirsi come un serie di veneziane, squarciando i pixel proiettati, ci rendiamo conto che è proprio da lì dentro, da un altro palco longitudinale allestito addirittura all’interno dello schermo, che i quattro, schierati in fila, stanno suonando Invisible.

Il tuffo negli anni d’oro degli U2 prosegue con un altro capolavoro tratto da Achtung Baby: Even Better Than The Real Thing, in una versione ancora più sensuale. Sensualità che raggiunge l’apice con un altro brano del 1991, Mysterious Ways, eseguito dalla band al completo sul secondo palco e ancora, come allora, con il contributo di una ballerina sul palco, in questo caso presa dal pubblico. Auguriamo alla napoletana Irene (cui Bono poi dedica una strofa di Torna a Surriento) la stessa carriera di Courteney Cox, trent’anni fa interprete della “ballerina presa tra la gente” nel video di Dancing In The Dark di Bruce Springsteen.

E visto che l’atmosfera rimane rilassata, la band continua a volersi diventare e mette in scena un siparietto facendo salire sul palco un chitarrista, un cantante e due batteristi presi tra il pubblico per suonare con loro. Il brano scelto è una travolgente Desire e quando Bono estrae magicamente un’armonica dal taschino tradisce la premeditazione, ma è stato tutto così bello da sembrare vero. L’angolo Rattle And Hum prosegue con una fantastica Angel Of Harlem (“Tonight Torino belongs to me” gigioneggia Bono) che finisce, come sempre, perdendosi nei cori del pubblico. Poi Adam Clayton e Larry Mullen lasciano il secondo palco per prepararsi al gran finale, mentre The Edge (al piano) e Bono regalano ai 13 mila del PalaAlpitour i due veri momenti acustici della serata e due perle di rara bellezza: prima Every Breaking Wave nella versione voce e piano delle Acoustic Sessions, brividi e pelle d’oca per tutto il palazzetto, e poi un’inattesa e graditissima October che non veniva suonata in Europa addirittura dal 1987.

Ma, si diceva, è già tempo del gran finale: anche The Edge fa ritorno sul palco principale non prima di aver sparato addosso a Bono il lancinante accordo iniziale di Bullet The Blue Sky (che reintroduce il tema della guerra e delle sue conseguenze, riportando il concerto sui temi di attualità), eseguita in una delle sue interpretazioni migliori, con un lunghissimo parlato di Bono sul finale di cui sarebbe stato bello poter cogliere il significato. Un breve accenno a Zooropa, il circo europeo immaginato dagli U2 nel 1993, suona come un atto di accusa nei confronti del nostro continente che da padre si sta pericolosamente trasformando in patrigno.

D’altra parte, spiega Bono, cosa vogliamo? Cosa volete? Un posto che possiamo chiamare casa. Ovunque. Ovunque. Meglio se in questo posto le strade non hanno nome. La transizione più famosa della storia del rock, dunque, questa volta parte da Bullet The Blue Sky, passa per Zooropa e, seguendo un filo logico inoppugnabile, arriva a Where The Streets Have  No Name, annunciata come di rito dal rosso che riempie il palasport e dal bianco che al momento giusto lo illumina a giorno. La platea è in delirio ma il gran finale è appena iniziato ed è già tempo di sgolarsi sui cori: dal ritornello di Pride (In The Name Of Love) urlato a squarciagola fino all’esplosione finale di With Or Without You che chiude il set ufficiale dopo oltre due ore di fantastico rock’n roll.

Decine di barre a LED che ricordano le spade laser di Guerre Stellari annunciano il primo bis: City Of Blinding Lights e la memoria non può non andare all’imminente 11 settembre. Beautiful Day è l’omaggio alla bellissima giornata vissuta dalla band in simbiosi con i suoi fans e che volge ormai alla conclusione, introdotta da un altro inconfondibile riff, quello di I Still Haven’t Found What I’m Looking For che l’inutile e deleteria partecipazione a sorpresa di Zucchero (potere dell’amicizia!) non riesce a rovinare del tutto. Certo, pensare che al suo posto al concerto di New York era salito sul palco proprio Bruce Springsteen causa un po’ di frustrazione. Ma sono dettagli che non intaccano la convinzione che, nonostante l’età, gli acciacchi, le pancette e i discutibili colori di capelli, dovremo fare i conti con gli U2 ancora per tanto tempo, soprattutto dal vivo.