Tenete un posto per Erica Mou

Erica Mou durante uno dei suoi showcase

Erica Mou durante uno dei suoi showcase

Se cercate un facile ritornello sanremese, leggero ed orecchiabile con una bella rima baciata da fare invidia a Eros Ramazzotti, non ascoltate Erica Mou. Se cercate un’altra cantante pop identica alla precedente, alla perenne ricerca della nota più alta, più lunga, più potente dentro a una canzone fotocopia, non ascoltate Erica Mou. Se cercate una ragazza copertina che fa parlare di sé per il look, per i flirt e per il gossip più che per la sua musica, non ascoltate Erica Mou. Se cercate Erica Mou sui grandi network radiofonici o nei principali programmi televisivi non la troverete. Ma cercatela altrove, perché ne vale la pena. Ed il suo ultimo lavoro Tienimi il posto chiarisce il concetto una volta per tutte, anche per i più difficili da convincere.

L’abbiamo apprezzata nel 2012 a Sanremo con la sorprendente Nella vasca da bagno del tempo, terza classificata nella sezione Giovani dopo aver collezionato tutti i premi della critica possibili, una canzone di una maturità sorprendente per una ragazza di 22 anni quale era Erica all’epoca e in cui espressioni solo apparentemente poco liriche come “lobi a penzoloni” trovano invece una perfetta collocazione poetica in un testo profondissimo e sorprendentemente adulto. Ce ne siamo definitivamente innamourati (così si chiama la sua fandom) l’anno successivo con l’album della consacrazione Contro le onde e soprattutto con il capolavoro Dove cadono i fulmini, la splendida sintesi di un lavoro in gran parte ispirato dal mare e ad esso dedicato. Ora, a due anni di distanza e dopo aver chiuso il rapporto con la Sugar di Caterina Caselli, la cantautrice di Bisceglie torna con il suo quarto album, ancora più maturo, ancora più intimo, ancora più personale grazie alla produzione curata dalla stessa cantante insieme con i suoi musicisti e collaboratori, un album quindi totalmente indipendente per il quale il MEI le ha attribuito un premio come prima cantautrice indie nella Top 25 dei dischi più venduti in Italia, proprio grazie a Tienimi il posto.

Un album del quale colpisce l’emergere prepotente della spiccata personalità di Erica che si declina in uno stile unico, riconoscibile ed inimitabile, messo ancora più in evidenza dalla scelta di autoprodursi che le ha consentito di fare esattamente quello che voleva di questo disco. La sua voce, pulita, precisa, mai all’inseguimento del virtuosismo fine a sé stesso pur avendone i mezzi; quel timbro così pieno e cristallino; quel suo modo di cantare che mette allegria perché sembra sempre cantare sorridendo (e chi ha avuto la fortuna di vederla da vivo sa che è esattamente così) come se si trattasse di una conversazione tra amici più che di una canzone. Tutti elementi che concorrono a determinare un’esperienza di ascolto di grande atmosfera, coadiuvata da arrangiamenti spesso minimali, studiati per mettere in risalto la sua voce, anche questi curati direttamente da lei, con la collaborazione dei suoi ottimi musicisti Alessandro Marzi (batteria e percussioni), Francesco Ponticelli (basso e synth) e soprattutto Francesco Diodati e il tocco jazz delle sue chitarre.

Il tema principale di Tienimi il posto, lo ha spiegato la stessa Erica, è quello della separazione: da una persona amata (l’amara e malinconica Depositami sul fondo, la dolce Se mi lasciassi sola dal sapore vintage), dall’infanzia (l’allegra e nostalgica Quando eravamo piccoli), dalla bella stagione (la lirica Che pioggia dagli accenti retró), dall’ideale di perfezione (Biscotti rotti), dalle abitudini (Indispensabile). Tienimi il posto è una sedia lasciata libera – racconta Erica – ma con oggetti visibili a occuparla, che stanno lì a sorridere rassicuranti e a sottintendere un ritorno, o per lo meno un distacco che manterrà per sempre delle tracce visibili, profonde”. In quest’ottica si inseriscono testi a loro volta minimalisti, ma non per questo meno profondi, che come nelle pagine di Carver partono da episodi della quotidianità apparentemente banali per affrontare temi alti, creando facili immedesimazioni: come non farsi strappare un sorriso pensando alla citata Biscotti rotti e a come ci comporteremmo noi davanti a quella scatola? Anche se poi a una lettura più profonda emerge “la frastagliata unicità dell’imperfezione” come straordinaria metafora della bellezza dell’imprecisione che spesso ci guida nella ricerca della persona giusta: “Pescami e ricomponimi prima di mangiarmi”.

Dal punto di vista musicale, i brani sono spesso destrutturati della consueta forma-canzone, come l’incantevole title track che riassume, al termine dell’album, il senso dell’intero lavoro, o come l’iniziale Sottovoce che al contrario sembra porsi come dichiarazione d’intenti nei confronti dell’ascoltatore con quel “ti parlo nella testa” ripetuto come un mantra, a sottolineare la caducità e la fallacità delle parole, mentre le sensazioni e le emozioni arrivano forti e dirette ai nostri recettori emotivi e cerebrali: “non mi resta che amare così, sottovoce” recita Erica con voce struggente.

Sulla base di questi elementi definire univocamente il genere musicale di Erica Mou diventa un esercizio non solo difficile ma anche di scarsissima utilità. Erica, poi, piega i suoi testi alle melodie che per questo non risultano istantaneamente immediate, eppure già dopo pochi ascolti si appiccicano alla testa come il ritornello più pop del mondo, nonostante la metrica sia la sua ultima preoccupazione di quando scrive. E così anche quando i ritornelli diventano davvero pop, come nel caso dell’allegra Niente di niente e del primo singolo Ho scelto te, resta sempre il gusto per la parola giusta anche se se fuori metrica (o forse giusta proprio in quanto fuori metrica) e per il non-sense (come i versi finali della stessa Niente di niente), e gli oh oh oh tanto di moda di questi tempi diventano prima ossessivi e poi meravigliosamente ironici.

Il vestito che sceglie di dare alle sue canzoni dipende quindi dal mood e dal grado di drammaticità che desidera attribuire loro. Ecco allora che il nuovo singolo Se mi lasciassi sola tradisce il gusto un po’ retró delle grandi interpreti degli anni sessanta, con un sontuoso arrangiamento d’orchestra. Mentre Non sapevo mai mentirti si dipana invece in maniera più classica come una tipica rock ballad su un tappeto di chitarre, e la bellissima Le macchie, probabilmente la migliore traccia dell’album, sconfina in un trip hop che ricorda i Morcheeba di Big Calm, sovrapponendo un tappeto di Rhodes e chitarre liquide a un ipnotico pattern ritmico. A sua volta Indispensabile vive su atmosfere che ricordano i primi Coldplay e Come mi riconosci ha invece un andamento jazz con una strofa sincopata che si apre in un ritornello pieno e diretto.

L’unico denominatore comune rimane dunque sempre l’amore, declinato in tutti i suoi possibili sensi, l’amore con cui questo disco è stato concepito e realizzato, l’amore che ritroviamo per intero nella voce di Erica quando, sempre sorridendo, ci racconta le sue piccoli, grandi storie. Se amate la musica d’autore tenetele il posto: ne vale la pena.