Archivio mensile:Maggio 2015

Ma la passione non può fallire – 2

Arsenal – Parma 1994, Parma – Juventus 1995, Champions League 1995-96

Wembley 1993. Tanti pensano che una gioia così sarà irripetibile, e in effetti tale rimarrà per sempre perché è la prima volta e la prima volta non si scorda mai e ha un sapore tutto suo. Però le repliche invece non mancheranno: la stagione successiva è di nuovo Coppa Coppe, ed è di nuovo finale. E dopo aver messo in fila squadroni come Ajax e Benfica, si pensa che l’ostacolo Arsenal non sia affatto insormontabile; parto per Copenaghen fiducioso di riuscire a sfatare la tradizione che vuole il bis in Coppa Coppe impossibile. Ma non sarà così: Tomas Brolin centra il palo, Alan Smith invece la mette dentro. Sulle note di Go West i tifosi Gunners cantano One-nil to the Arsenal, con quel filo di humour che permette loro di ironizzare sulla  ormai proverbiale indole sparagnina della squadra di George Graham. E tradizione della coppa confermata, con buona pace anche dei tanti tifosi romanisti accorsi al Parken a fare tifo interessato: un’eventuale vittoria del Parma avrebbe liberato un posto Uefa proprio per la Roma. Le strade di gialloblù e giallorossi torneranno ad incrociarsi drammaticamente in futuro.

Seguiranno altri trionfi disseminati lungo l’album dei ricordi, ma intanto c’è la netta percezione che qualcosa sia cambiato, che nell’isola felice si rilevino le prime incrinature nei rapporti. Georges Grün, per esempio, si sarebbe aspettato di giocare la finale: il belga era reduce da un grave infortunio che a gennaio aveva convinto la società ad ingaggiare Nestor Sensini dall’Udinese, ma era pienamente disponibile. Si sarebbe aspettato di giocare perché lo meritava, perché per tre stagioni e mezza era stato il perno della difesa e della squadra, il segreto neanche tanto segreto di Scala che grazie all’intelligenza tattica del belga poteva giocare con 5 difensori e 4 centrocampisti pur avendo due punte. Non tornano i conti? Beh, non tornavano neanche agli avversari! Se lo meritava per il suo attaccamento alla maglia, per essere sceso in campo, nonostante il dolore, tre giorni dopo la scomparsa della sua figlioletta Victoria, nata prematura. Invece è proprio Sensini a giocare, forse un premio per il gol decisivo in semifinale con il Benfica, ed il belga va in tribuna, per la regola dei soli tre stranieri a referto allora in vigore. Grün incassa da campione senza battere ciglio da signore qual è, ma a fine stagione se ne torna all’Anderlecht.

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Tim Duncan, il commiato di una leggenda?

Tim Duncan in azione con la maglia dei San Antonio Spurs

Tim Duncan in azione con la maglia dei San Antonio Spurs

Nella storia dell’NBA Timothy Theodore Duncan è probabilmente la più forte ala grande di sempre, o la più grande ala forte. Sfumature permesse dalla traduzione abbastanza libera di power forward, il suo tipico ruolo da numero 4, anche se in carriera se l’è cavata alla stragrande anche come centro puro, in particolare  dopo la fine della partnership con l’altra twin tower David Robinson e i primi due anelli. Ma quello che conta è che parliamo di un fuoriclasse assoluto del basket professionistico nel suo ruolo, e non solo.

Tim Duncan ha compiuto 39 anni lo scorso 25 aprile e pur sforzandomi non riesco a trovare altri atleti classe 1976 capaci di esprimersi a questi celestiali livelli in sport professionistici. Viene in mente Francesco Totti certo, il più anziano realizzatore della Champions League, ma Totti gioca da fermo. A basket non si può. A basket si attacca e si difende in cinque, finito un possesso devi già essere dall’altra parte a difendere e a basket non puoi aspettare la palla da fermo né difendere senza muoverti. L’integrità fisica di Tim Duncan sarà presto oggetto di studi da parte di medici e preparatori atletici, perché a 39 anni semplicemente non è umano giocare 84 partite con una media di 29 minuti a gara (35 nei play-off) agli infernali ritmi della NBA, una gara ogni 2-3 giorni.

Ma quello della spettacolare integrità fisica è solo uno degli aspetti del talento di Timmy, perché oltre alla quantità, in questi minuti mette anche tantissima qualità. Una doppia doppia di media in carriera (19.5 punti e 11 rimbalzi) già di per sé imbarazzante per chiunque volesse arrischiarsi a un paragone, che sale fino a 21 punti e 11.7 nei play-off. Con 18 punti e 11 rimbalzi di media nell’ultima, sfortunata, serie contro i Los Angeles Clippers. E una solidità difensiva che il numero di stoppate e palle recuperate è capace di misurare solo in parte.

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