Ma la passione non può fallire – 1

Parma Sampdoria 1990, Parma - Juventus 1992, Parma - Anversa 1993

Parma Sampdoria 1990, Parma – Juventus 1992, Parma – Anversa 1993

Aprendo l’album dei ricordi, la prima immagine è un po’sbiadita, è in bianco e nero. Nella realtà è a colori perché risale a soli trent’anni fa, ma nella mia mente appare lontana e quindi un po’ sfumata. È il 29 aprile 1984, siamo a Reggio Emilia e al vecchio Mirabello si disputa l’ennesima edizione del derby dell’Enza di Serie C. C’è un giocatore del Parma che calcia una punizione magistrale e una volta vista la palla nel sacco corre come un matto dall’altra parte del campo, dove a 80 metri di distanza c’è la curva dei suoi tifosi. Come d’abitudine si arrampica alla recinzione, la ramäda, a festeggiare con gli ultras. Si chiama Massimo Barbuti e a distanza di tanto tempo è ancora il giocatore più amato dai tifosi crociati, a dimostrazione che per entrare nelle grazie di una tifoseria spesso contano più cuore, grinta e attaccamento alla maglia delle qualità tecniche. Peraltro tutt’altro che trascurabili nel caso di Barbuti, visti i suoi 37 gol in 98 partite che gli valsero anche qualche apparizione in Serie A con la maglia dell’Ascoli, impreziosite da un gol al Milan a San Siro.

La seconda immagine è un po’ più nitida ma lo scenario è sempre lo stesso, stesso stadio, stesso avversario, ma la categoria cambia: siamo in Serie B, è il 29 dicembre 1989 e questo derby vale per la lotta per raggiungere il palcoscenico più ambito. Il protagonista questa volta è un ragazzo che in futuro avrà una brillante carriera con le due grandi milanesi, ma che nel Parma di Nevio Scala, che funziona come un orologio perfetto, fatica a trovare spazio. Si chiama Maurizio Ganz e alla prima occasione fa vedere tutto il suo valore: con una doppietta espugna il Mirabello e lancia i gialloblù verso la prima storica promozione in Serie A, suggellata nella gara di ritorno dai giocatori simbolo del Parma primi anni ’90: Marco Osio e Sandro Melli.

Continuando a sfogliare l’album si trova un video: è il 20 gennaio 1991, ultima giornata di andata e la squadra di Scala sta disputando un campionato inimmaginabile, la pratica salvezza è ormai già archiviata e i gialloblù sono in piena lotta per un posto in Europa nel gruppetto delle prime cinque. Al Tardini arriva il Milan, è l’ultimo Milan di Sacchi in piena lotta scudetto con Inter e Sampdoria, una corazzata un po’ in disarmo dopo anni di successi in Europa, ma che può comunque ancora contare su Rijkaard, Gullit, Van Basten, Costacurta, Tassotti e Baresi; manca Maldini ma ci sono altri  due talenti e futuri allenatori crociati: Roberto Donadoni e Carlo Ancelotti. E proprio rubando palla al suo futuro mister Alessandro Melli suggella la sua doppietta stendendo i rossoneri in appena 34 minuti ed arrivando alla decima rete stagionale dopo appena un girone. La curva del Tardini è ancora la vecchia curva, e Melli salta i cartelloni pubblicitari e corre a condividere con i tifosi quello che all’epoca è il momento più alto della storia della squadra crociata. Il bello, invece, deve ancora venire: alla fine sarà quinto a pari merito col Torino e si qualificherà alla Coppa Uefa senza spareggi grazie alla squalifica del Milan dopo i fatti di Marsiglia.

La pagina dopo è un mosaico di fotogrammi festosi e colorati: frammenti di vita calcistica in quella che fu definita l’isola felice del calcio italiano, dove ci si misurava con le grandi d’Italia e d’Europa senza però perdere di vista la dimensione reale di quello che resta solo uno sport o, meglio, un gioco. Allora ci sono istantanee della squadra che fa allenamento nel parco della Cittadella tra bambini curiosi e anziani a passeggio, c’è la festa di squalificazione in Curva Nord dopo la delusione dell’eliminazione al primo turno di Coppa Uefa contro i bulgari del CSKA Sofia. I tifosi decisero di investire i soldi raccolti per le trasferte europee in panini, salume e lambrusco da condividere con gli amici sampdoriani in calendario al Tardini proprio la domenica dopo quel sciagurato 2 ottobre 1991. C’è una società ancora sana e ben gestita che con grande sagacia che cede al Milan un terzino di dubbia tecnica come Gambaro e con i proventi della cessione acquista due fenomeni come Benarrivo e Di Chiara, ed avanzano pure i soldi per costruire la nuova Curva Nord.

E poi c’è un capitolo dedicato esclusivamente ai primi trionfi. È il 14 maggio 1992, dopo una marcia trionfale i ragazzi di Scala sono arrivati alla finale di Coppa Italia contro la Juventus con la quale sta montando un’accesa rivalità. Sette giorni prima i bianconeri hanno vinto 1-0 con un “generoso” rigore (arbitrava Lo Bello di Siracusa, e ho detto tutto) trasformato da Roberto Baggio. Per il ritorno al Tardini occorre essere in curva di buon’ora per trovare un posto decente. In quel periodo faccio pratica di scuola guida e non voglio rinunciare alla lezione, per cui mi presento già in tenuta da stadio: maglia di Osio, berrettino gialloblù, sciarpa dei Boys, vari gadget colorati addosso. L’ingegnere non trova idea migliore di farmi fare il giro attorno allo stadio, ancora non chiuso al traffico, soffermandosi in particolare dalla parte di Via Puccini dove già stazionano diversi tifosi juventini pronti per entrare in curva sud. Non mi hanno guardato con tenerezza.

Ma la partita è entusiasmante, ancora una volta sono Melli ed Osio, i gemelli del gol crociati, a firmare il primo trofeo della storia del Parma, ma più ancora che la partita, le splendide reti, in particolare quella del sindaco dopo un’azione da manuale, ricordo il clima che c’era in curva, non so più quante persone più del dovuto, stipate una contro l’altra in un unico grande abbraccio e la sensazione che no, quella sera niente sarebbe potuto andare male, anche quando alla Juventus l’impeccabile Baldas annullò due gol per fuorigioco, tutti pensarono che il copione era ormai stato scritto, che sarebbe finita così: con Lorenzo Minotti che solleva la Coppa Italia e una gran festa in Piazza Garibaldi.

E non finisce qua: la pagina dopo è occupata dall’istantanea di un intero settore dello stadio di Wembley colorato di gialloblù, è il 12 maggio 1993 e dodicimila parmigiani sono partiti insieme a me in aereo, treno, auto, pullman per assistere alla prima finale europea della storia del Parma contro l’Anversa. Il nuovo fenomeno Faustino Asprilla ne combina una delle sue in Colombia e Scala decide di rinunciare all’eroe del Calderón, l’uomo che ha eliminato da solo l’Atlético Madrid all’andata, con l’arbitro tedesco Schmidhuber che ha completato l’opera al ritorno, sorvolando su un nettissimo rigore causato da Minotti in area crociata. Scala se la gioca così con gli stessi undici di 363 giorni prima, anche perché ormai Marco Ballotta, complice la regola dei tre stranieri massimo a referto, ha rubato il posto a Taffarel e non è più solo portiere di Coppa Italia. Minotti, Apolloni, Melli, Osio, Zoratto e il subentrante Pizzi sono arrivati fino qua direttamente dalla Serie B.

Ho comprato il viaggio a rate, sono partito alle 4 di mattina del giorno della gara e sono tornato circa 26 ore dopo senza ovviamente avere chiuso occhio. Arrivo giusto in tempo per salutare i miei compagni al bar mentre stanno per entrare in classe, prendo la Gazzetta dello Sport e vado a letto con negli occhi immagini già destinate a diventare ricordi indelebili. La sforbiciata di capitan Minotti, l’incornata di Sandro Melli, il contropiede di Cuoghi, lo splendido gol di Melli annullato per un fuorigioco inesistente (vabbè, ma chissenefrega) e il pianto commosso del capo ultrà Di Donna che dopo anni di Serie C e B vede finalmente coronato un sogno, troppo grande per essere anche solamente sognato. Sulla giustificazione per i due giorni di assenza da scuola ho scritto semplicemente: WEMBLEY.

1 – TO BE CONTINUED