Se non c’è pioggia, non c’è arcobaleno. Il live di Paolo Nutini.

Paolo Nutini durante il concerto del Forum

Paolo Nutini durante il concerto del Forum

Se non c’è pioggia, non c’è arcobaleno”. Lo ripete come un mantra nel suo italiano stentato Martin Finnigan, il cantante di The Rainband, che evidentemente sente di aver qualcosa da farsi perdonare, arrivando da Manchester (non esattamente la terra del sole) con un nome così, proprio nella giornata in cui il Lambro e il Seveso mettono in ginocchio per l’ennesima volta Milano e la sua rete metropolitana con forti disagi anche per il pubblico diretto al Forum. La sua band è comunque interessante, suona un buon indie-rock con non poche influenze brit-pop (d’altra parte a Manchester il nome Gallagher significa ancora qualcosa) e commuove Assago quando suona Rise Again, il brano dedicato a Marco Simoncelli, alla cui fondazione furono destinati tutti i proventi del singolo due anni fa.

Ma archiviato tra gli applausi l’opening act, tocca ovviamente a Paolo portare l’arcobaleno sui volti ancora fradici di pioggia dei tanti fan che hanno sfidato il maltempo per assistere alla sua unica data italiana invernale. C’è subito da dire che del ragazzino di 19 anni che nel 2006 aveva stupito il mondo con il pop d’autore del suo album d’esordio non c’è più traccia; anzi, la presa di distanza dalle atmosfere di These Streets è così marcata che le hit mondiali di quell’album non ci sono proprio: niente Rewind, niente New Shoes (relegata in una minicitazione sul finale di una rivisitatissima Jenny Don’t Be Hasty), non c’è la stessa These Streets, mentre Last Request è il cadeau di commiato con cui Nutini, solo voce e chitarra, si congeda dal pubblico del Forum regalandogli questa perla acustica. Praticamente alla sola Alloway Grove resta pertanto il compito di tenere alta la bandiera dell’album di esordio.

Il nuovo Paolo Nutini ha un’anima blues, e soprattutto funky come emerge chiaramente già dalle prime note di Scream (Funk My Life Up), il primo estratto dall’ultimo album Caustic Love presentato anche a Sanremo lo scorso febbraio. Lo spettacolo è minimale: c’è sì il tradizionale maxischermo che di tanto in tanto trasmette immagini di supporto ai brani, ma più che altro regala panoramiche del pubblico e primi piani di Paolo a beneficio dei tanti appollaiati nella piccionaia del Forum. Ci sono giochi di luce che sembrano trasformare il palazzetto in una navicella spaziale, ma la coreografia più bella la fanno i tantissimi membri della band che si alternano sul palco, e la regia luci che trasforma di volta in volta il palco in un jazz club o in un locale vintage a seconda del momento.

E per chi aspetta anche la parte più soul della voce di Nutini, ecco che arriva Let Me Down Easy, annunciata dall’immagine del 45 giri dell’omonimo brano di Bettye LaVette, campionato abbondantemente per questa bella incursione nell’R&B. La musica, senza tanti fronzoli, è l’indiscussa protagonista della serata ed è l’incredibile voce di Paolo a riempire la scena col suo timbro inimitabile e la capacità di colorare ogni pezzo di un’atmosfera diversa. La band si mette infatti tutta al servizio del cantante limitando i protagonismi, nonostante la bravura e il numero di strumenti, che comprendono due chitarre, basso, batteria, tastiere, una corista, e una sezione fiati di tre elementi, cui lo stesso Nutini spesso si aggiunge con la propria chitarra o il proprio organo. Il tutto per un suono pieno e strutturato ma mai troppo invadente rispetto alla voce del protagonista.

Paolo parla poco e quando lo fa il suo accento scozzese è praticamente incomprensibile, e nonostante le origini toscane si limita a qualche “Grazie” e “Ciao Milano” nella lingua dei nonni. Preferisce che a parlare sia la musica, attraverso la quale trascina il pubblico in un viaggio attraverso suoni vintage, anche di scuola Motown come Coming Up Easy dal secondo album Sunny Side Up, senza tuttavia tralasciare la sua nuova vena funky. Dopo la già citata toccata e fuga nel mondo di These Streets (Jenny Don’t Be Hasty e Alloway Grove), è infatti il basso di Looking For Something a mettersi in primo piano, sia musicalmente sia sul maxischermo su cui il pubblico segue in primo piano l’andamento delle dita del bassista a delineare la bassline. Ed è il preludio al set interamente dedicato a Caustic Love che spazia dalla struggente ballata Better Man a una Someone Like You quasi natalizia, dalla delicata Diana alle atmosfere fifties di One Day, dalla travolgente Cherry Blossom fino al grido disperato di Iron Sky, l’ultimo singolo estratto dall’album che conclude il set. In mezzo, due brani più jazz tratti ancora da Sunny Side Up: Pencil Full Of Lead e le atmosfere retrò di No Other Way.

Tricks Of The Trade dallo stesso album apre invece i bis, mentre la cover dei MGMT Time To Pretend prelude al gran finale: il pubblico può finalmente dare libero sfogo alle ugole cantando Candy insieme a Paolo che alla fine del brano saluta la band e rimane solo per l’epilogo. E prima del già citato congedo di Last Request versione acustica, regala un’altra perla al popolo del Forum: si trasforma in Fred Buscaglione per una meravigliosa Guarda che luna, cantata in un italiano quasi perfetto, come se tutte le parole italiane che conosce se le fosse tenute in serbo per questa sorpresa. La gente sciama fuori dal palazzetto con ancora nelle orecchie questa emozione e ad aspettarla fuori c’è veramente (e finalmente) uno spicchio di luna e un bel cielo stellato.